meaningfulness

Tre mesi in giro per il Sudamerica, senza grosse pause tranne due settimane nella campagna fuori da Bogotà a causa di un passaporto perso e di un’ambasciata e di un’attesa e di un appartamento scelto perché centro nevralgico dell’attività della zona, tra laghi e cave di sale e una metropoli poco lontana e passeggiate. Due settimane finite, in realtà, chiusi in casa a cucinare e giocare e a mala pena abbiamo messo il naso fuori casa.
E il dubbio su cosa fare una volta rientrati.
Io un’idea ce l’ho. Ho detto un giorno.
C’è un piano abbandonato da trent’anni nella casa di mia nonna.
Mia nonna ci ha lasciato quest’estate, o almeno così dicono. In realtà è in ogni oggetto di quella casa, tutto è impregnato della sua presenza.
Io un’idea ce l’ho: è un peccato che quel luogo vada perso.
E così siamo in Italia da quasi un mese, in lotta contro la routine dei giorni tutti uguali e la scoperta, ogni giorno, di nuovi misteri, di mobili meravigliosi, di angoli che brillano di colori che non vedono luce da anni, la scoperta dei nostri muscoli e di quanto possiamo fare in così poco tempo.
E mia nonna, seduta probabilmente su quella poltrona, che ci guarda e, ne sono certa, sorride.

Piove…

Nina Simone canta dalle cuffie, don’t explain Just say you’ll remain e la solita malinconia da fuori piove e fa buio troppo presto.
Sotto la pioggia, autoradio a volume altissimo per estraniarsi dalla strada che scorre troppo in fretta. Mi muovo tra sedi e clienti, vestita bene. E mi piace.
Voglio feste e notti folli, voglio truccarmi e bere fino a sentir girar la testa.
Le mie ovaie son perfette, ha sentenziato la ginecologa.
L’ha detto guardando uno schermo in bianco e nero. “vedi, questa è la tua ovaia?”. Vedevo solo una macchia più chiara in mezzo al nero, ma ho conservato l’immagine dell’ecografia nel portafoglio.
Ed è una preoccupazione in meno.

Perennemente stanca, ma conscia che passerà presto.
E con attacchi di fame da svuotare il frigorifero.
E con attacchi di fame che mi portano a mangiare troppo al pranzo per i cinquant’anni di matrimonio degli zii di Gabriele.
Il filetto va mangiato grondante sangue. E’ un insulto volerlo ben cotto.

Hush now, dont explain
Youre my joy and pain
My lifes yours love
Dont explain

J’ai le mal du pays

Non è il caso che scaraventa a Parigi persone come noi. Parigi è soltanto un palcoscenico artificiale, un palcoscenico rotante che permette allo spettatore di cogliere ogni fase del conflitto. Da sola Parigi non avvia alcun dramma. Cominciano altrove. Parigi è solamente il forcipe ostetrico che strappa dall’utero l’embrione vivo e lo mette nell’incubatrice. Parigi è la culla delle nascite artificiali. Ninnato dalla culla ognuno riscivola indietro al proprio humus.

Tropico del cancro – Miller

Nuovamente, come ormai quattro anni fa, mai frase fu più adatta ad identificare IL momento.
Sono ricca di aspettative, scrivevo. E non sono state deluse affatto.
Mais dimanche soir j’ai pleuré. J’ai pleuré tous les larmes que je n’avais pas pleuré à la fin de mon erasmus.

E così Parigi fu. Parigi casa, mamma, culla, Parigi eterna.
Un viaggio di una notte lungo poco più di un’ora, o almeno così sembra, basta andare a dormire e ci si risveglia a Bercy, esco dalla stazione e la sensazione è la solita, già vissuta, già sentita. E’ come essere a casa, ma in una casa in cui non metto piede da tanto tempo. So esattamente cosa mi aspetta dopo la scala mobile, i negozietti sulla sinistra, il bar dove comprai i sigari a Bruno, la metro in cui non si può scendere se non hai già il biglietto, devi arrivare più avanti, alla piazzetta, là dove c’è il palazzetto.
Giriamo in due sotto un solo ombrello, giriamo per lasciare curriculum, incrocio le dita per il tuo futuro e i capelli mi si bagnano ma non importa. Al pont dell’Alma ci aspetta Cola in pausa pranzo. Ed è il primo balzo indietro nel tempo. Mangiamo quiche al salmone e torta al cioccolato e Irene mi attacca la mania per le macro.
Cerchiamo rifugio dalla pioggia al forum des halles, trovo la borsa viola, ci sono uomini e donne con parrucca rosa shoking che ballano le canzoni di Madonna.
Un altro salto indietro: ci vediamo davanti notre dame. Andiamo a mangiare francese, lumache, fonduta e zuppa di cipolle, mi regalano un paio d’ali, rivedo Mohamed dopo anni ed è come se lo avessi salutato pochi giorni prima. Non ti avevo riconosciuto, mi dice. Mi regala il portachiavi della Tunisia e ci porta in un discopub dove lavora la sua amica. Beviamo cubalibre e non siamo più abituate al fumo dei locali. Rientriamo a piedi alle tre di notte. Amo la vita di questa città. Ci fermano due ragazzi, scherzano con noi guardando la cartina, ci danno la buonanotte e ci lasciano andare a dormire.

tour eiffelMohamed, Yaya, Nene

Sabato non piove, raggiungiamo gli amici in giri di shopping, mangiamo in una bettola giapponese con i cuochi a vista, organizziamo concerti, corriamo al canal st.Martin e ci chiediamo come faccia il battello a passare la chiusa, vediamo negozi colorati, a Pigalle al mio sexyshop preferito provo corsetti e vestiti di latex, aperitivo al Babel cafè e pareti di legno, cena a montparnasse, il cameriere mi ama e magari adesso entra quel cantante dalla porta. Il sidro ha bassa gradazione alcolica ma a noi basta per lasciarci andare. Tanto non capiscono la nostra lingua.La scalinata di Montmartre è piena di gente, passeggiamo guardando artisti dipingere ritratti.
E poi ci aspetta un locale. Ho imparato a Parigi ad amare l’hiphop e questa sera c’è questa serata gratuita. Ci sentiamo un pò mosche bianche circondate da chi balla meglio di noi. L’uomo dei nostri sogni entra mentre stiamo andando via, lo incontriamo al guardaroba.

st Martinmontmartre

Ed è già domenica mattina, ultimo giorno ma mi sembra di essere qua da una settimana, Clignancourt e bancarelle e vestitini e pranzo vegetariano con riso ai pistacchi, carne di soja e banane. Cerchiamo un’installazione di arti plastiche, finiamo dentro ad un ospedale, dentro alla chiesa dell’ospedale e guardiamo Parigi da un periscopio. Moschea con Cola, thè alla menta e uccellini che entrano, jardin de plantes e buffi animali. E sai, sono presa un pò male. E allora parti, mi dici.
Prendiamo le nostre cose, con calma torniamo in stazione, ciao ciao con la manina a boulevard richard lenoir.

clignancourtmostro al jardin de plantes

Quando son partita, 4 anni fa, avevo un fidanzato a Parigi, sapevo che sarei tornata presto, e non ho versato lacrime. Stavolta non so quando tornerò. Ho recuperato le lacrime che non avevo pianto. E il treno è partito mentre Konstantine scendeva le scale..

 

Back..

..forse per qualche tempo, forse per qualcosa in più. Ma la voglia di ricominciare a mettere parole su uno schermo era troppo forte. Quella sensazione strana che ti fa pensare a come rappresenteresti a parole quello che stai vivendo.
Cambio casa per pigrizia, promesse di acquisto di un dominio non mantenute per il poco tempo da dedicare alla sua pianificazione.
E’ passato un anno da quando ho trascurato il mio piccolo orto virtuale. Un anno ricco, pieno, abbondante di vita.
E in questo anno sono cresciuta, cambiata, diventata un pochino più matura. Indipendente.
Indipendente è la parola più importante dell’ultimo anno.
Ho passato un’estate di divertimenti, tre feste di laurea, tante sbonze, tanti brindisi. Ho trovato un lavoro, e sono scappata dopo pochi mesi. Un lavoro che non faceva per me, ma che mi ha lasciato un amicizia con fantastici ormai ex-colleghi, un ricordo fantastico di tre giorni di corso a Milano con un nuovo amico e un attestato di webmarketing ed ottimizzazione per i motori di ricerca che non fa mai male, anche se ho promesso a me stessa di non lavorare più in questo settore.
Ho risposto ad annunci ed inviato curriculum, ho fatto mille colloqui, alcuni massacranti, alcuni stupidi. Avevo inviato la mia candidatura anche ad uno stage.. non si sa mai, mi sono detta. Ma lo stage partiva prima della mia scadenza del contratto ed era impossibile per me parteciparvi. “signorina mi spiace non possa partecipare allo stage, ma il suo curriculum ci interessa molto, verrebbe comunque a sostenere un colloquio?”. Tre colloqui (due e mezzo, l’ultimo era la firma sul pre-contratto) ed un nuovo lavoro. Diverso. Stimolante. A contatto con clienti a volte anche troppo stressanti.
Insomma, mi piace.
Una nuova casa e una nuova coinquilina.
E’ passata un’altra estate, la mia prima estate con ferie dettate dal lavoro. Due settimane tra versilia, isola d’elba e lunigiana, pelle più scura e una gamba sfracellata contro gli scogli.
Ritorno in punta di piedi a raccontare scorci della mia vita, meno criptica, me stessa fino in fondo. E non mi importa se interessa o meno a qualcuno. Perchè stavolta lo faccio solo per me stessa.
Forse.

elba